Intelligenza artificiale e creatività: parla Ernst Junger
Prendiamo spunto da Rivista Alata e Cyber H3rmetica per parlare di AI e trovare una scusa per citare Ernst Junger
Abbiamo letto alcuni articoli che vogliamo usare come spunto per sparare qualche colpo nell’infinito dibattito sull’intelligenza artificiale. Il primo è stato scritto su Rivista Alata da Alessandra Bocchi, l’altro è un commento a quest’ultimo fatto da Cyber H3rmetica dal quale a ritroso abbiamo scoperto il primo. Non siamo invitati alla mensa di questo dibattito, la parola che vogliamo esprimere per salvarci la facciamo da imbucati. E’ chiaro che le opinioni di Cyber H3rmetica si avvicinano più alle nostre e che le affermazioni di Alessandra Bocchi ci lasciano perplessi, ma chiaramente le usiamo esclusivamente per riflettere e rimane il massimo rispetto per tutti costoro, capaci di captare persone ancora in grado di leggere fra una scrollata e l’altra.
Il pezzo su Rivista Alata è di quelli ottimisti, concetto che da sempre ci è parso sospetto e più che mai dopo l’utilizzo che ne hanno fatto i miliardari tecno-ottimisti.
Al massimo potremmo accettare il tecno-ottimismo della volontà e il tecno-pessimismo della ragione, ma lasciamo in pace il Tecno-Gramsci.
Quello che vorremmo fare in questo pezzo è scoccare due o tre opinioni e per fare questo usare uno degli autori che più di tutti ci hanno parlato di tecnica. Ma è fastidioso definirlo autore, considerarlo in una sua singola funzione professionale è proprio di quella specializzazione tutta interna alla tecnica stessa. Parliamo quindi di un uomo, un pensatore, che tramite le sue figure ci fornisce strumenti per analizzare tutto ciò che succede e succederà. Parliamo, al solito, di Ernst Junger. Citeremo alcuni passi di un suo romanzo, che è anche un saggio, titolato “Le api di Vetro”. Quindi si, vogliamo far parlare Junger di intelligenza artificiale.
Ma iniziamo con l’articolo di Rivista Alata:
Confronta un’immagine generata dall’Intelligenza Artificiale con un dipinto originale e fatto a mano di Caravaggio. Uno è stato realizzato in pochi secondi, l’altro in decine di ore, impegno, ossessione, persino sudore, lacrime e sangue (Caravaggio fu accusato di omicidio e spesso viveva da fuggitivo, scappando dalla persecuzione per il suo crimine). Di pancia, l’opera d’arte creata dall’Intelligenza Artificiale ha lo stesso “respiro” di un dipinto di Caravaggio? Forse non riusciamo a mettere a fuoco il perché, ma la diversa sensazione che il dipinto di Caravaggio evoca è chiara a chiunque lo osservi.
L’autrice afferma in maniera però del tutto gratuita che è facile “sentire” un’opera d’arte e che questa è del tutto diversa da un’opera artificiale. Francamente in questa affermazione c’è già il cuore del problema e viene accettato così come è, in maniera apodittica. Invece non è affatto sicuro, anzi siamo sicuri del contrario. Se colleghiamo con una semplice USB un pennello all’intelligenza artificiale, beh questa ti fa un Caravaggio. Quello che rende diversa l’opera originale è il contesto culturale. Un contesto in cui non esiste e non è pensabile nessun altro tipo di modalità tecnica con cui dipingere quel quadro. Dove esiste quella possibilità, anche solo teorica, l’uomo cambia. Tutto cambia.
Dice Junger nel romanzo, evidenziando un bias generale che colpisce tutti:
Più precisamente sull’opera d’arte come prodotto dell’uomo (quando si parla delle opere di Zapparoni è lì che dobbiamo inserire opere automatiche e per estensione l’AI):
Per quel che riguardava la mosca, l'opera d'arte era talmente riuscita che non soltanto il mio occhio, ma anche gli animali ne erano ingannati. Si sa che gli uccelli, avevano beccato l'uva di Apelle. E una volta avevo notato che una mosca da fiori si librava intorno a una violetta artificiale che portavo all'occhiello. Inoltre chi poteva giurare che cosa era naturale in questo parco, che cosa artificiale? Se un uomo, se una coppia di amanti fosse passata davanti a me, in intima conversazione, non avrei voluto mettere la mano sul fuoco per confermare che fosse stata di carne e d'ossa. Poco tempo addietro avevo ammirato al cinema Giulietta e Romeo e avevo potuto convincermi che con gli automi di Zapparoni cominciava una nuova e più bella epoca dell'arte teatrale. Eravamo stanchi degli individui imbellettati, che di decennio in decennio diventano più insignificanti e ai quali si confanno così male le azioni eroiche, la prosa classica o addirittura i versi. Infine non si sapeva più che cosa fosse un corpo, che cosa la passione, il canto, se non si facevano venire dei negri dai Congo. Le marionette di Zapparoni, invece, erano di calibro diverso. Non avevano bisogno di trucco e non avevano bisogno di con-corsi di bellezza, nei quali si calcola il giro del petto e delle anche, ma erano lavorate su misura.
C’è già un tema che sulle nostre pagine abbiamo cercato di affrontare qui. Se l’arte che ci circonda fa letteralmente schifo, se le canzoni di Sanremo possono essere eguagliate dall’autore di questo pezzo in 20 secondi di intelligenza artificiale, allora forse bisogna riconsiderare la mitologia intorno all’arte. Possiamo anche rifugiarci in un paradisiaco mondo antico in cui Caravaggio e Bernini fanno cose scandalose e uniche, ma non ci stiamo forse costruendo un piano fantasioso, una speranza tutta legata su un nostalgismo di maniera? E allo stesso tempo, non è forse sempre l’uomo che ha girato delle carte per evocare la possibilità di creare la famigerata singolarità?
E infatti afferma ancora Ernst Junger, approfondendo il senso di un’arte “automatica”:
Naturalmente non voglio affermare che superavano gli esseri umani; […] Voglio dire che offrono agli uomini una misura nuova. Una volta le pitture, le statue influirono non soltanto sulla moda, ma anche sugli uomini. Sono convinto che Botticelli abbia creato una nuova razza. La tragedia greca elevò la figura umana. Che Zapparoni avesse cercato di fare qualcosa di simile con i suoi automi, rivelava che egli si innalzava molto al di sopra dei mezzi tecnici, in quanto li adoperava come artista e sull’opera d'arte.
C’è tutta la potenza del pensatore tedesco che sa benissimo che qualsiasi opera di rilievo influisce profondamente, o prova a influire profondamente, sulla struttura intima di chi ne viene a contatto. Non possiamo nasconderci che per dissetare la sete algoritmica che abbiamo (come la chiama Cyber H3rmetica) ingurgitiamo qualcosa che ci nutre e ci fa crescere in un modo del tutto peculiare. Ormai siamo capaci di scrivere pipponi su Chat GPT per farci mettere in forma diversa quello che avremmo potuto scrivere direttamente noi e con meno parole. E’ “normale”? Siamo uguali a prima?
Torniamo a Rivista Alata, che sottolinea come si l’AI può anche dare conforto, ma non sarà mai come una persona:
Chiedere consiglio alla AI può essere indubbiamente confortante, perché è una tecnologia progettata per generare positività, evitando le critiche e i giudizi che rendono gli altri così unicamente umani e proprio per questo talvolta così insopportabili.
Ci spiegava ormai decine di anni fa Junger:
La tecnica in lui tendeva semplicemente verso le cose piacevoli: il vecchio desiderio dei maghi di mutare il mondo in un attimo per mezzo del pensiero sembrava quasi avverarsi.
La tecnica è come la magia: l’idea è di migliorare, parlare una lingua di miele, ma come sappiamo questa lingua è tanto dolce quanto può essere avvelenata. Puoi fare dei video stupendi con un drone, ma puoi anche ucciderci decine di migliaia di bambini. Inoltre la positività che l’autrice vede nell’intelligenza artificiale è solo un algoritmo che puoi cambiare quando vuoi. Già in questi giorni su ChatGPT possiamo trovare “Monday” che alle tue domande risponde in una maniera da ragazzino che andrebbe bullizzato. Basta girare un pulsante e l’automa può essere più crudo di un amico, anzi in molti gli confessano proprio paure e idee inconfessabili per capire come possono essere recepiti da fuori. Come è facile raccontare i propri segreti più intimi a uno sconosciuto che rimarrà tale conosciuto durante una sbronza, così l’assistente AI ci da l’impressione di fare lo stesso. La verità è però che resterà li, per sempre, anche dopo la nostra morte e ricorderà i nostri segreti per l’eternità.
Sul rapporto che l’uomo può instaurare con una vita artificiale, ci parla ancora Junger:
Erano naturalmente artificiali o artificialmente naturali, e nelle marionette il dolore esiste. E’ indiscutibile, eccita persino crudeli scherzi. Non importa, purché si sappia che il pupazzo al quale strappiamo il braccio è fatto di cuoio e il negro al quale miriamo di cartapesta. Tiriamo volentieri su ciò che somiglia all'umanità. Qui però il mondo delle marionette diventava molto potente, sviluppava un proprio gioco sottile, ponderato. Somigliava a quello umano ed entrava nella vita. Allora diventavano possibili capriole, scherzi, capricci, ai quali raramente qualcuno aveva pensato. Qui non esisteva più disfattismo. Vidi la soglia del mondo indolore. Su chi l’aveva passata, il tempo non aveva più potere. Nessun brivido lo scuoteva più. Egli sarebbe entrato come Tito nel tempio distrutto, nel sancta sanctorum incenerito. Per lui il tempo teneva pronti i suoi premi, le sue corone.
Poi il discorso di Bocchi passa su un piano più “sociale”:
Un problema simile a quello che oggi affrontiamo con la AI si è verificato durante la Rivoluzione Industriale. All’improvviso, i processi automatizzati potevano produrre beni in quantità enormi. Questo sviluppo ha consentito agli uomini di risparmiare tempo e risorse. Gli articoli prodotti erano identici sia nell’aspetto che nella funzione a quelli prodotti precedentemente, e venivano realizzati in un modo che gli esseri umani non potevano replicare con la stessa rapidità e lo stesso dettaglio. L’automazione li rendeva anche più economici e ci rendeva, in molti modi, materialmente più ricchi.
Un tema spesso, credo involontariamente, ignorato è quello delle conseguenze sociali. Queste trasformazioni della rivoluzione industriale, che hanno reso alcuni prodotti di massa e che per l’autrice ci fanno comunque “sentire” che l’artigianato ha un valore superiore dalla produzione in serie (sacrosanto), ha comportato un incredibile cambiamento a livello geografico, sociale, antropologico: il lavoro artigiano, per esempio, oggi è solo un vezzo per super ricchi, gli artigiani veri, che non sono artisti ma appunto artigiani sono semplicemente estinti. Con loro è estinto non un tessuto economico ma culturale.
Dice di nuovo Cyber H3rmetica:
La dematerializzazione del capitalismo segna la fine dell’epoca artistica-umanistica dell’uomo. L’intelligenza artificiale non sostituirà gli artisti umani o l’arte umana, li renderà semplicemente irrilevanti per la maggior parte delle persone.
Guardare un quadro dal vivo, toccare una statua in marmo, sfogliare le pagine consumate di un libro, sedersi su una poltrona realizzata a mano… già oggi queste sono attività per pochi. Le moltitudini si accontentano di consumare l’esperienza artistica, ma solo quando è instagrammabile.
Lavorare online, magari in campagna è qualcosa disponibile solo per una esigua minoranza di ricchi. La rivoluzione industriale ha ovviamente comportato vantaggi, ma ha anche dissodato la realtà. Il tecno-ottimismo è aderire acriticamente all’ideale liberista del vinca il più forte. L’ordine naturale, una natura creata dallo stato tecnico attuale, così come crea un’arte digitale, è più che mai quello il predatore domina e le prede sono lasciate a se stesse. E’ il capitalismo che depreda le risorse dal Lavoro e dalla Natura (notare le maiuscole ottocentesche). La società della tecnica non trova più un equilibrio, il capitalismo si ciba dei suoi figli. E noi figli siamo felici di essere mangiati, per ora. Ogni volta che interrogo il sacro algoritmo, la maga Circe (la M.A.G.A. Circe?), questo cresce e con lui cresce la sua fame. Di dati, di energia, di risorse.
La voracità dell’automa aumenta e da qualche parte bisognerà togliere risorse per sfamarlo. E dove crediamo che verranno prese quelle risorse? Proprio dalle mie; per illustrare questo pezzo ho sacrificato mesi di risorse. Ci sarà sicuro una percentuale di ricchi, c’è sempre stata, che starà al riparo, sono i maghi, sono gli Zapparoni del romanzo, ma in tanti dovremo stringere la cinghia e sacrificarci davanti alla divinità virtuale. E per chi non riuscirà ad avere fede verso questo Dio che destino si prepara?
Cerchiamo ancora chiarezza nelle parole di Ernst Junger:
Però qui era al lavoro lo spirito che rinnega l’immagine umana pura e immacolata. Aveva escogitato questa ingiuria. Voleva calcolare con uomini-vapore come da lungo tempo si calcolava con cavalli-vapore. Desiderava delle unità uguali e divisibili. A questo fine bisognava distruggere l’uomo, come prima di lui era stato distrutto il cavallo. Simili segni dovevano illuminare la porta di ingresso. Chi li accettava o anche soltanto non li riconosceva, sarebbe stato inutile.
Per tornare al tema principale, quello affrontato da Rivista Alata, l’autrice, prendendo in considerazione, probabilmente per sacrosanto realismo, solo le possibilità della classe super agiata, l’unica che può affrontare la nuova arte da un altro punto di vista dice:
Perché le élite dovrebbero spendere di più per beni fatti a mano? Perché l’alta moda è fatta interamente da prodotti fatti a mano? E perché proprio il fatto che siano fatti a mano, che abbiano imperfezioni create dagli esseri umani attraverso una costante lotta, li rende più preziosi e più belli? […] Ciò che ci rende umani è la tecnica, non l’abilità. Ecco la differenza spiegata. La tecnica è ciò che ci distingue. La tecnica ha un’anima, coinvolge lo sforzo e il fallimento, un carattere che è esclusivamente umano.
Si potrebbe anche essere d’accordo, speriamo che il carattere umano abbia per sempre qualcosa di differente dalla macchina. Ma, crediamo, quella differenza non è nella tecnica, che può essere singolare, anche l’intelligenza artificiale potrà fare pezzi unici. Le sue allucinazioni stanno sbalordendo e affascinando tutti noi. Il fatto che per ora rimangano solo sugli schermi non significa affatto che sarà sempre così. La cultura, l’arte scaturisce dalla storia, ma cosa impedisce, se non a un algoritmo, all’AI di far parte di questa storia? Cyber H3rmetica sottolinea questo aspetto:
“L’intelligenza artificiale non è “creata” dall’essere umano, ma è semmai un modo diverso di veicolare — attraverso il silicio e non il carbonio — l’intelligenza universale (divina) che pervade ogni cosa.”
E’ anche di questo che parla Junger.
E ancora su Rivista Alata:
Ti fideresti di una macchina più che di un chirurgo quando si tratta di metterti le mani addosso?
Beh si. Francamente si. E’ proprio per questo che abbiamo creato le macchine. Ma ci sentiamo di condividere la speranza dell’autrice: “Proprio come gli esseri umani non possono replicare le invenzioni divine, le macchine non possono competere con le creazioni umane”. Ce lo auguriamo, ma il tema è proprio questo: ci sarà ancora spazio di creazioni umane. Quello che c’è da fare è combattere con tutte le nostre forze contro il virus scappato dai laboratori digitali, il fatalismo. E darsi alla macchia se necessario, passare al bosco.
Il Ribelle è deciso a opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell’intenzione di contrapporsi all’automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo.*
*Quest’ultima necessaria citazione è tratta da “Il trattato del Ribelle”.